Post by sergioPost by sergiono, nessuna coda di paglia. Ma e' strano che sia il giornale di famiglia
di
Post by sergioBerlusconi (del fratello scemo che fa da parafulmini alle porcate del
fratellone) a ricevere di straforo e pubblicare ogni giorno le panzane non
dimostrate di Marini.
Una persona intelligente capirebbe che si e' di fronte solo ad una
campagna
Post by sergioorchestrata basata sul nulla.
C'e' una cosa pero' che magari mi puoi spiegare. Premetto che non leggo ne'
il Giornale ne' Libero e che non gaurdo mai Fede. Per quanto ne so, vedendo
le tirature dei due quotidiani e l'audience del TG4 direi che appartengo
alla stragrande maggioranza degli italiani.
e che tg vedi? se mi rispondi che sul TG1 e TG2 la questione e' stata
trattata con obiettivita'...
Post by sergioAnzi mi sembrava che dopo la scampagnata in montagna dei "saggi" si stesse
preparando una nuova stagione di scontri, ma su cose prettamente politiche.
Poi di colpo cala come una mannaia la dichiarazione di Fassino in cui accusa
Berlusconi di essere il burattinaio dietro a Marini risbattendo
prepotentemente la vicenda in prima pagina.
vai in qualsiasi biblioteca e consulta i numeri passati del Giornale,
Libero, Padania e altri giornali vicini al Berlusconi e vedi come hanno
dato le notizie.
Oppure riguardati i tg1 e tg2 con dichiarazioni finali di consolo, bondi,
schifani, nania eccetera basate sulle panzane di Marini.
Post by sergioSiccome no credo che Fassino sia uno che semplicemente "perde la pazienza"
mi chiedo il perche' di quella mossa.
ho postato delle interviste a Fassino ini alcuni ng di politica. Puoi
cortesemente leggertele?
Adesso hanno tirato in ballo anche Ciampi rischiando di sputtanare tutta
l'operazione.
leggi qua:
L'improvvido Conte Igor
sbaglia i tempi delle rivelazioni
di GIUSEPPE D'AVANZO
LO STATO delle cose è gravissimo, ma così poco serio da volgere al comico.
Una maggioranza con cento deputati in più nell'aula parlamentare
s'imbarca, grazie a una commissione d'inchiesta, in un'operazione di
demolizione dei leader politici dell'opposizione affidandosi a un facchino
dell'ortomercato di Brescia (Igor Marini). Un tipo così è stato cercato a
lungo. È solo una "seconda scelta".
La prima scelta era stato un tale di nome Zagami. Si presenta come
"Favaro" al vicedirettore del Giornale di Berlusconi. L'"operazione
avanspettacolo" comincia in quel momento, a ben pensarci. Zagami racconta
al Giornale di Arcore che il 29% di Telekom Serbia è stato pagato da
Telecom Italia cash, in contanti infilati in sacchi di iuta che lui
stesso, Zagami, ha trasportato in aereo a Belgrado conservandone un bel
pacco per una tangente ai "comunisti" dei Ds.
Purtroppo questo Zagami è addirittura ristretto in un carcere francese per
truffa. La faccenda salta fuori e di Zagami - che doveva essere ascoltato
con grande urgenza dalla Commissione - non se ne sa più nulla. Zagami
scompare, ma una prima patacca resta sul terreno ad avvelenare il campo.
La patacca è questa: Telecom Italia ha acquistato il 29 per cento di
Telekom Serbia "pagando in contanti". Sarebbe sufficiente prendersi la
briga di leggere il "Rapporto Torkildsen" depositato alla cancelleria del
Tribunale penale internazionale dell'Aja (dove si processa Slobo Milosevic
per crimini di guerra) e sapere che il pagamento in contanti è una
frottola. In quel Rapporto (pubblico) ci sono copie dei bonifici bancari
del pagamento ad Atene, il trasferimento con bonifico da Atene a Belgrado
(Repubblica ne ha dato già conto in luglio). Niente da fare. In questa
storia l'accertamento dei fatti conta un niente. Secondo gli sceneggiatori
di questa cospirazione da operetta c'è bisogno di dire che il pagamento è
stato in contanti per poter sostenere che c'è stata una tangente (stupidi,
come se non si potesse pagare una tangente anche alla luce del sole,
ufficialmente con un bonifico a un mediatore che si incarica poi di
distribuirla ai corrotti).
Come che sia, la frottola ora è sul tavolo. Ha bisogno di trovare un padre
(Zagami non vale nulla). Dall'oscurità di una vita affannosa, appare Igor
Marini. Sembra l'uomo giusto. È disposto a dire che il pagamento è stato
cash e che buona parte di quei soldi - qui pasticcia, dice 100, e poi
addirittura 900 (quindi più degli 800 e passa pagati da Telecom) - li ha
consegnati addirittura a Prodi, Fassino, Dini e per sovrapprezzo, allunga
poi la lista a Rutelli, Veltroni, Mastella.
Ritorna in campo il Giornale di Arcore. Pagine su pagine. Per giorni e
mesi. Un solo tormentone: la leadership del centrosinistra, a cominciare
da quel Prodi che guiderà l'Ulivo (o quello che sarà) nelle Europee del
prossimo anno, si è arricchita con la telefonia di Belgrado. Le prove?
Igor Marini. I verbali di Marini. Le parole, la parola di Igor Marini. La
maionese sembra pronta per essere sbattuta sulla faccia dell'opposizione.
Il 7 agosto, improvvidamente, la maionese impazzisce. Perché Marini vuole
strafare e pronuncia troppo presto un nome. È il nome del presidente della
Repubblica. È il nome che doveva galleggiare nel fondo di questo affare
più che sporco, comico. Il timing prevedeva: frullare la credibilità dei
leader del centrosinistra prima delle elezioni europee. Il progetto era
lasciarli come anatre zoppe all'inizio della campagna elettorale
imbastendo una gogna pubblica. Che si può immaginare. Per sei mesi il
Giornale di Arcore, i giornali controllati dal signore di Arcore, i
telegiornali controllati dal presidente del Consiglio per via pubblica
avrebbero potuto raccontare di Prodi balbettante dinanzi alla Commissione
parlamentare. Magari mostrare il sudore che imperla la fronte di Piero
Fassino, interrogato da Alfredo Vito, tangentista confesso e oggi spietato
inquisitore della commissione Telekom... Ma Ciampi no, diavolaccio di un
Marini! Il nome di Ciampi doveva rimanere sotto traccia come una minaccia.
Sarebbe tornato utile dopo. Dopo. Tra la fine del 2005 e l'inizio del 2006
quando, magari, è necessario che il capo dello Stato tolga il disturbo per
lasciar posto a Berlusconi.
Maledizione, Igor Marini si è lasciato prendere la mano e prima di lui
quell'intemperante di Carlo Taormina. In coppia hanno anticipato il nome.
Il nome è finito nei verbali delle audizioni e, proprio quando si metteva
bene, il gioco è diventato insostenibile. Perché anche in un'opera comica,
se accusi un capo dello Stato di ospitare alla sua tavola un truffatore
che distribuisce tangenti (e che tangenti!), uno straccetto di prova devi
pure mostrarlo al mondo. E di fonti di prova, in questo improvvisato
avanspettacolo di dilettanti, non ce n'è una. Nemmeno a cercarla con il
lanternino della malafede.
Se ne accorgono anche nel partito di Arcore nel caldo di agosto. È il 9 di
agosto. Quel giorno, c'è il cambio di strategia. Frena, arretra, inverti
la marcia, cambia strada. Ciampi non si tocca. Il Giornale del Capo ha
quella succulenta notizia in mano. Roba da spararci un titolo di prima
("Marini accusa Ciampi") grande quanto quello per le Twin Towers e invece
che fa? Nulla. Registra la dichiarazione di Taormina in tre righe a piè di
pagina. Titolo niente. Prima pagina niente. Un cerino spento. Cambiare
registro è ora l'ordine della scuderia di Arcore. Sandro Bondi,
coordinatore di Forza Italia, si precipita sul luogo del delitto, dà sulla
voce all'intemperante Taormina. "Tirare per i capelli il capo dello Stato
in questa brutta vicenda mi sembra una forzatura" (Messaggero, Libero). Lo
ripete il presidente della Commissione parlamentare Enzo Trantino. "Il
presidente che deve essere risparmiato persino dall'alone del sospetto"
(Quotidiano nazionale). Non può bastare. Non basta dire: Ciampi non
c'entra. Quel nome eccellentissimo è nel verbale e, con quel precipitoso
crescendo, Marini e Taormina hanno buttato per aria tutta l'operazione.
Anche uno come Bondi o come Cicchitto capisce che il cacciaballe del
mercato ortofrutticolo di Brescia va mollato in gran fretta se si vuole
evitare che quella maionese impazzita macchi anche le loro grisaglie. E
dunque non è più Marini il fondamento dello scandalo. Ma sono le
"responsabilità politiche", "gli omessi controlli", ora, il fondamento
dello scandalo (come soltanto qualche radicale e nessuno dell'attuale
maggioranza sottolineò all'epoca). Dopo l'inchiesta di Repubblica del
2001, quelle responsabilità da valutare sono sotto gli occhi di chiunque
avesse voluto accertare i fatti e non imbastire un'operazione canaglia.
L'affare Telekom - per quel che questo giornale è riuscito a ricostruire -
lo si può sintetizzare in qualche domanda che è sul tavolo da due anni. A
chi e perché finì davvero il 3 per cento dell'importo complessivo
dell'acquisizione? Perché Milosevic commentò questo pagamento con la frase
"Questi mafiosi italiani..."? Chi, nel governo, diede il nullaosta
politico a Tomaso Tommasi di Vignano, capo della Telecom, azienda
pubblica? Perché, o per conto di chi, in poche ore, i greci della "Ote"
misero sul tavolo oltre 600 miliardi per entrare in una trattativa già
chiusa da 24 ore?
Qualche indicazione da seguire c'era. Repubblica ha indicato le società
offshore di Milosevic su cui è transitato il denaro dell'affare, per dirne
solo una. Si sono volute cercare le risposte nelle parole di truffatori
che tornavano comode per un agguato politico. E più le risposte sono
affondate in quelle ricostruzioni rabberciate, senza prove, incredibili,
più un concreto, sereno e rigoroso accertamento dei fatti si è
allontanato, si è spento. Anche quando la commissione ha avuto sotto gli
occhi tracce da approfondire non le ha viste, non le ha voluto vedere,
accecata dal disegno degli improvvisati cospiratori. Qualche esempio che
chiede chiarimenti (e chi era al governo allora avrebbe fatto bene a
fornire tempestivamente). Non si sono accorti, i commissari, quanto
clamorose (Repubblica lo ha già rilevato in luglio) potessero essere le
parole di Mario Draghi, allora direttore generale del Tesoro. Telekom?
Draghi: non ne abbiamo saputo nulla. Telecom? Draghi: è vero, il Tesoro
era l'azionista di riferimento, ma non aveva un consigliere di
amministrazione e il professor Lucio Izzo si confonde se sostiene di
essere stato nominato dal Tesoro. E Dini? Non ha saputo mai nulla e ha
appreso dell'affare soltanto dai giornali, come ha dichiarato e dichiara?
E Umberto Vattani, segretario generale della Farnesina? Anche lui ha
saputo dai giornali? Addirittura sei mesi dopo, anche se, ma soltanto per
caso, nei giorni della stretta della trattativa era proprio lì, a
Belgrado? E Fassino, che riceve i dispacci allarmati dell'ambasciatore di
Belgrado, ne parlò mai con Dini? E se ne dovesse aver parlato, come ha
riferito il suo ex collaboratore Sannino, che cosa disse Dini?
Queste domande non hanno mai incuriosito gli affossatori dell'indagine
Telekom. Modesti personaggi alla ricerca di qualche merito da sventolare
alla presenza del Capo che, compiaciuto, deve aver seguito il loro lavoro.
Ridicoli cospiratori che hanno organizzato una trama con ignobili
protagonisti. È una trama che ora può travolgerli tra le risate che
meritano.
bye
S
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